onlY. simplY. happY.

architecten jan de vylder inge vinck/inge vinck jan de vylder architecten

1+1+1
un progetto di Elena Quarestani
a cura di Federica Sala

settembre-ottobre 2021

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architecten jan de vylder inge vinck/inge vinck jan de vylder architecten

1+1+1
un progetto di Elena Quarestani
a cura di Federica Sala

settembre-ottobre 2021

 

 

onlY. simplY. happY. architecten jan de vylder inge vinck/inge vinck jan de vylder architecten, 1+1+1/2021, Assab One © Giovanni Hanninen

ORARI DI APERTURA
Dal 4 settembre al 16 ottobre
Dal mercoledì al venerdì dalle 15:00 alle 19:00, sabato su appuntamento

APERTURA STRAORDINARIA
In occasione del Salone del Mobile la mostra è aperta lunedì 6, martedì 7 e sabato 11 settembre dalle 15:00 alle 19:00

LECTURE di Jan de Vylder e Inge Vinck
Venerdì 5 novembre 2021 alle 18:30

con la partecipazione di Luca Molinari, Ilaria Valente e Cino Zucchi

in collaborazione con la Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni – Politecnico di Milano

 

Arrivando ad Assab One per la prima volta siamo stati colpiti dalla sua bellezza. E’ stato subito chiaro quale sarebbe stata l’idea alla base del nostro intervento. Semplicemente creare uno sfondo che meglio incorniciasse la presenza delle colonne. Sei piccole stanze bianche attorno alle colonne. Per invitarci dentro le persone. E con questo anche riconoscere ciò che abbiamo – ma di cui forse non siamo più consapevoli. La settima colonna è particolare. Non è nella griglia delle altre, essendo appena dietro l’angolo. Ed era – al momento della nostra prima visita – semplicemente bianca.
Dopo un’attenta osservazione, questa colonna bianca diventa una collezione disegnata di tutte le idee e spunti che abbiamo trovato sulle altre colonne.

Le colonne e la colonna. I colori semplicemente come tali. Le crepe e anche la bellezza. Tre interventi. Magari nemmeno interventi. Ma solamente introduzioni. Semplici introduzioni con la sola ambizione di cambiare il modo con cui siamo abituati ad approcciare le cose di cui siamo circondati. Una questione di cambiamento. All’inizio, un cambiamento mentale. Ma poi forse che non rende nemmeno così necessario un cambiamento fisico.

Il pensiero concettuale ci porta sempre dall’idea alla materialità. Il pensiero contestuale dalla realtà al cambiamento. Magari accettando ciò che è disponibile per essere adorato. Adorazione di ciò che non sappiamo più adorare. E adorando ciò che non era più adorato, diventare semplicemente felici con ciò che abbiamo. Ancora.

Biografia

Jan De Vylder e Inge Vinck (1968 e 1973) vivono e lavorano a Ghent, Belgio. Insieme, hanno fondato lo studio di architettura Architecten Jan De Vylder Inge Vinck (AJDVIV). Nel 2016 AJDVIV ha co-curato il padiglione Belgio alla 15. Mostra Internazionale di Architettura – Biennale di Venezia, Italia. Mostre recenti includono Venezia, Italia 2010, 2014, 2016, 2018; Chicago, USA 2014, 2016; Lisbona, Portogallo 2019 e San Paolo, Brasile 2019. I loro progetti, per committenti privati e pubblici, hanno vinto numerosi premi e nomine come Schelling Architektur Preise 2016, Germania; Leone d’Argento, 15. Mostra Internazionale di Architettura – Biennale di Venezia, Italia; Henry van de Velde 2018, Belgio; Mies Award 2019 (finalisti).

Jan De Vylder ha insegnato a Sint-Lucas School for Architecture, Bruxelles, Belgio; TU Delft, Olanda; EPFL, Losanna, Svizzera; Accademia di Architettura USI, Mendrisio, Svizzera; ETH, Zurigo, Svizzera (in corso). Inge Vinck ha insegnato a Ecole Nationale Supérieure d’Architecture et de Paysage, Lille, Francia; TU, Delft, Olanda; Accademia di Architettura USI, Mendrisio, Svizzera; Kunstacademie, Düsseldorf, Germania (in corso).

www.architectenjdviv.com

 

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prologo

Probabilmente dovremmo solo accettare. Non semplicemente accettare, ma accettare ciò che osserviamo. Osservarlo una volta in più. Osservarlo più da vicino. Osservarlo da lontano. E poi capire. Che cos’è accettare. Che cosa si prova ad accettare. Accettare è un atto libero. Accettare è felicità. Accettare è la fine. Semplice.
Questo è il mondo oggi. Eppure c’è così tanto in questo mondo oggi. Capiamo a sufficienza come è il mondo oggi? Vediamo ancora che cosa questo mondo è oggi? Siamo forse in grado di percepire che c’è un mondo oggi? Un mondo è a nostra disposizione. Un mondo si presenta. Una presenza da celebrare. Anche quando non ci immaginavamo che l’avremmo dovuto celebrare.

sei + uno

Siamo stati invitati in questo spazio meraviglioso. Questo spazio artistico. Invitati a presentare qualcosa ‘prossimamente’. Un invito all’essere presenti in questo spazio in uno dei momenti più importanti dell’anno a Milano. In cui tutti sono sempre ansiosi di vedere che cosa succederà di nuovo. Il nuovo invito. Il nuovo concept. Le nuove basi. Il nuovo ‘nuovo’. Questo spazio. Questo tempo. Questo nuovo. E’ il nuovo davvero il nuovo? O forse il nuovo è buono quasi quanto il vecchio. E può il vecchio essere il nuovo. Tutto questo può essere il nuovo.

Sei colonne – e una solitaria e diversa dietro l’angolo – danno a questo spazio ordine e ritmo. Queste colonne supportano il peso di quello che l’architettura è di per se. Allo stesso tempo con la loro posizione e apparenza, trasformano questo peso nella leggerezza dello spazio. Allo stesso tempo le colonne sono molto di più. Le colonne sono qui per restare, ma anche per incoraggiare il cambiamento. Le colonne sono lì come guida non solo dello spazio ma anche come sfondo a tutto ciò che è ausiliario. Tubi tecnici e dettagli e componenti del riscaldamento o estintori e segnali di evacuazione sono ripetuti e conducono da una colonna all’altra. Leggermente diversi ogni volta. Leggermente gli stessi ogni volta. Diversi colori. Diverse superfici. Ogni volta gli stessi ma declinati in modi diversi. Vediamo ancora questo oggi? Queste colonne sono sempre presenti, ma vediamo ancora queste presenze? Queste colonne raccolgono ogni tipo di dettaglio – dal momento che sono di supporto ma anche supporto per altre cose – e nella vita di tutti i giorni semplicemente lì. Senza che siano viste. Senza che siano apprezzate. Solamente quando una persona indica le colonne e inizia a riflettere e poi a commentarle, gli altri iniziano a seguire questo diverso modo di osservare.

Arrivando ad Assab One per la prima volta siamo stati colpiti dalla sua bellezza. Era chiaro quale sarebbe stata l’idea alla base del nostro intervento. Semplicemente creare uno sfondo che meglio incorniciasse la presenza delle colonne. Sei piccole stanze bianche attorno alle colonne. Per invitarci dentro le persone. E perché le persone fossero insieme alle colonne. E per scoprire il conosciuto come sconosciuto. E attraverso quello anche riconoscere che ciò che abbiamo – ma di cui non siamo più consapevoli – è importante e sufficiente. Sufficiente e che non ha bisogno di nient’altro. Non più. Questo potrebbe essere un ulteriore punto di vista sulla domanda più urgente che il mondo, e l’architettura di riflesso, hanno di fronte oggi: come andare avanti. Magari come andare avanti, ma anche come vivere con le cose. Con le cose che sono già presenti. Queste colonne e il modo in cui sono portate alla ribalta sono una risposta a questa domanda. Rappresentano ciò che viene chiesto all’architettura oggi. Nondimeno questa immagine potrebbe rappresentare una domanda sulla condizione umana attuale. Questo pensiero senza alcuna pretesa si è aggiunto all’idea della nostra installazione. Bisogna osare.

La settima colonna nello spazio – abbiamo parlato di sei più uno – è una colonna particolare. La settima colonna è particolare. Non è nella griglia delle altre, dato che è appena oltre l’angolo. Ed era – al momento della nostra prima visita – semplicemente bianca. Dopo un’attenta osservazione e non senza immaginazione, questa colonna bianca diventa una collezione disegnata di tutte le idee e spunti che abbiamo trovato sulle altre colonne. Come stiamo cambiando la nostra attitudine nell’accettare può essere fonte di ispirazione, non solo per avere uno sguardo diverso su quello che non vediamo, ma anche modellare altre realtà meno importanti verso qualcosa di leggermente diverso. Non intervenendo attivamente. Ma facendo un piccolo gesto. Magari con un disegno. Con un disegno che spesso non è né più né meno di un’idea.
E un’idea su come andare avanti.

colore

Le sei colonne, e per estensione tutto lo spazio di Assab One, condividono la presenza di diversi colori. Di primo impatto questi colori sembrano semplicemente essere lì. E lo sono. La loro origine potrebbe essere semplicemente una scelta – gusto personale e segni del tempo, talvolta semplicemente un colore come simbolo -. E con questo senza alcun collegamento tra loro. Ma attraverso un certo modo di guardare, astraendo i colori dalle loro superfici e possibili significati, i colori uno vicino all’altro rivelano una bellezza che li rende una premeditata palette di gusto. Sul muro in fondo scandito dal ritmo delle mezze colonne, i sette diversi colori sono celebrati così come sono. In mezzo alle colonne e in parte su di esse sono semplicemente superfici colorate. Superfici colorate in quanto tali.

crepe

Più tardi, abbiamo visitato l’edificio che ospita Assab One. Stanze e ambienti. Corridoi e scale. Un mondo magnifico. Su più di una parete abbiamo trovato tracce della storia dell’edificio. Di quelle tracce che saltano all’occhio. Piccole crepe quasi invisibili nell’intonaco che sembrano indicare sottili ‘movimenti’ presenti o di un tempo passato. Di certo rivelano l’età di tutto questo. Ma anche. Ciò che viene con l’età. La bellezza. Qua e là in questo spazio stupendo saranno aggiunte altre crepe vicino alle crepe esistenti. Sottili linee di matita si troveranno poste tra le altre. Dopo qualche tempo non sapremo più quali erano le linee reali e quali le linee di bellezza.

epilogo

Le colonne e la colonna. I colori semplicemente come tali. Le crepe e anche la bellezza. Tre interventi. Magari nemmeno interventi. Ma solamente introduzioni. Semplici introduzioni con la sola ambizione di cambiare il modo con cui siamo abituati ad approcciare le di cui siamo circondati. Una questione di cambiamento. All’inizio, un cambiamento mentale. Ma poi forse che non rende nemmeno così necessario un cambiamento fisico. Il pensiero concettuale ci porta sempre dall’idea alla materialità. Il pensiero contestuale dalla realtà al cambiamento. Magari accettando ciò che è disponibile per essere adorato. Adorazione di ciò non sappiamo più adorare. E adorando ciò che non era più adorato, diventare semplicemente felici con ciò che abbiamo. Ancora.

 

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  • onlY. simplY. happY. architecten jan de vylder inge vinck/inge vinck jan de vylder architecten, 1+1+1/2021, Assab One © Giovanni Hanninen
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    architecten jan de vylder inge vinck/inge vinck jan de vylder architecten, onlY simplY happY, 1+1+1, Assab One - © Jan De Vylder
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  • onlY.simplY.happY - JDVIV Drawing technical - 1+1+1/2021 - Assab One
    onlY.simplY.happY - JDVIV Drawing technical - 1+1+1/2021 - Assab One

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