Daniela Kustova

Made in

a cura di Katia Anguelova

maggio-luglio 2007

Daniela Kustova

Made in

a cura di Katia Anguelova

maggio-luglio 2007

Made In, Daniela Kostova

Isola Art Center è un laboratorio che offre all’arte contemporanea una piattaforma di sperimentazione in una logica interdisciplinare ed internazionale, radicata nel territorio locale e sociale. Lo spazio di Isola Art Center ospitava opere di artisti internazionali come Marjetica Potrc, Tania Brughiera, Seamus Farrell e di artisti italiani come Michelangelo Pistoletto, Stefano Arienti, Luca Pancrazzi, Massimo Bartolini, Gabriele Di Matteo, Vedovamazzei, Loris Cecchini e Bernardo Giorni inserite nell’architettura dell’edificio della Stecca degli artigiani.

Per questo appuntamento Katia Anguelova ha invitato a lavorare Daniela Kostova e Plamen Dejanoff, residenti rispettivamente a Troy, NY, USA e Vienna. I due artisti condividono la realizzazione di due progetti che seppur diversi, hanno un comune punto di partenza, la Bulgaria, il loro paese d’origine.

I due progetti

Il progetto di Plamen Dejanoff (1970, Sofia, Bulgaria, vive fra Vienna e Berlino) nasce dalla relazione fra arte, cultura ed economia, temi che l’artista indaga da anni. Con Planets of Comparison Plamen Dejanoff continua ad esplorare le relazioni fra il sistema dell’arte e quello dell’economia, vestendo contemporaneamente i panni dell’artista, architetto, designer, manager e collezionista. Negli anni 90 Plamen Dejanoff acquista sette case in una città nel centro della Bulgaria (Veliko Tarnovo) affinché vengano ristrutturate in collaborazione con una seria di studi di architettura (Kühn/Malvezzi, Vienna, Berlin, Grüntuch & Ernst Berlin, Gruppo A12 Milano, Cocktail Lyon) ed in seguito utilizzati da istituzioni, gallerie, musei, accademie per attività culturali. Il progetto cominciato con  MUMOK, Museum of Modern Art Ludwig Foundation di Vienna, dove è stata esposta nella primavera del 2006 una scultura in bronzo, modello di una delle case, realizzata da Dejanoff con gli architetti austriaci Wiederin/Konzett. Per il suo intervento milanese Plamen Dejanoff ha scelto di illustrare le prime fasi del progetto sulla seconda casa a Veliko Tarnovo in cui lavora insieme agli architetti viennesi Erich Hubmann & Andreas Vass, presentando una serie di disegni, maquette, così come una light glass installation con il marchio “dejanoff”, costruita dai artigiani bulgari e prodotta “made in Bulgaria”, parte del progetto New Works realizzati e pensati per il suo intervento all’Isola Art Center. Con questo progetto allo stesso tempo ludico ed economicamente rilevante, l’artista trasforma l’esperienza esistenziale in una sorta di joint venture tipica dell’economia reale, tra arte e impresa.

Biografia

Daniela Kostova (1972, Sofia, Bulgaria. Vive e lavora a Troy, NY, USA), invece, parte dal suo video-documentario Body-without-organs, utilizzandolo come materiale grezzo la sua istallazione pensata inizialmente per gli spazi di Isola Art Center e  composta da una serie di attraversamenti di “ambienti sociali”. Il passaggio attraverso l’istallazione invita gli spettatori a riflettere su emigrazione e viaggio utilizzando la musica come punto di integrazione. Il nome del lavoro prende in prestito il concetto di “corpo senza organi” da Gilles Deleuze. Si tratta di pensare il corpo senza ridurlo ad una forma organica, non un corpo privato dagli organi, ma piuttosto un corpo in via di differenziazione. Il corpo senza organi è dunque la vita in-organica, dunque una potenza d’individualizzazione non ancora divenuta organismo. Il momento espositivo diventa una situazione di dialogo culturale e di confronto tra luoghi geografici diversi, ma affini. Ispirata alla musica ethno-mesh e alla gypsy-punk della scena musicale new- yorkese, l’istallazione racconta il Bar Bulgaro di New York attraverso gli occhi dei recenti emigranti. Il Bar Bulgaro non è un “centro culturale”, come è ironicamente definito all’entrata, ma piuttosto un immaginario culturale e una zona di convergenza di tendenze opposte: da una parte la rappresentazione istituzionale dell’idea di identità con il Centro Culturale Nazionale e dall’altra parte l’essenza del sentimento nomade espresso attraverso la musica gipsy-punk. Danzare nel Bulgarian Bar comporta un superamento della usuale funzionalità del corpo, la cui organicità è superata da nuovi possibili significati forniti dalla fusione orgasmica con la musica. L’esperienza nel Bulgarian Bar diventa così una metafora antropologica che mostra come la cultura sia plurale. Una ricerca di se stessi nella comunità umana dove i valori sono conseguenza dell’avventura collettiva (non a caso dj Boro dice a proposito della musica gipsy “l’idea gypsy lavora molto bene, perché loro non hanno uno stato, sono permanentemente nomadi”). In breve, il party e l’incontro dipendono dalla gente e dalle loro capacità di dimenticare se stessi.