Roaming

a cura di Alessandro Castiglioni

guigno 2008

Roaming

a cura di Alessandro Castiglioni

guigno 2008

Mme Duplok, Ehi qualcuno di voi ha visto il pescecane Damen, 2008. Foto Agostino Osio
Mme Duplok, Ehi qualcuno di voi ha visto il pescecane Damen, 2008. Foto Agostino Osio

Cesare Biratoni, Enrica Borghi, Sergio Breviario, Ermanno Cristini, Maria Crosti, Michele Lombardelli, Mme Duplok, Manuela Martines, Microcollection, Giancarlo Norese, Vito Scamarcia, Luca Scarabelli, Elisa Vladilo

Fotografia: Agostino Osio

ROAMING, da un’idea di Ermanno Cristini, è una serie di mostre, curate da Alessandro Castiglioni, che durano solo il tempo dell’inaugurazione: dei flash che sopravvivono nel dito dei fotografi e poi galleggiano nella dimensione indistinta del web.
Localizzate in spazi fortemente conformativi e rappresentativi, per la loro presenza fisica e lo spessore della loro storia (immobili industriali dismessi e recuperati), ma anche per la loro presenza simbolica (sedi istituzionali come il museo), le mostre si caratterizzano per la rapidità e per le modalità di occupazione degli spazi.
Gli artisti cambiano secondo una catena di inviti che mette “sotto scacco” l’idea di un curatore. Nella successione degli inviti rimane un’ombra di indicibilità poiché l’affinità è tra chi invita chi, e un posto più in là si rompe. Si genera così un meccanismo di “caos” e di casualità nell’insieme eterogeneo, tenuto insieme dai singoli, con  una sorta di “curatela velata”.

Lo scintillio della seduzione, di Ermanno Cristini

“Accanto al guidatore è seduta una donna; perché l’uomo non le racconta qualcosa di divertente? Perché non le appoggia la mano sul ginocchio? Macchè l’uomo maledice l’automobilista davanti a lui perché va troppo piano, e neppure la donna pensa a toccarlo con la mano – mentalmente sta guidando anche lei, e anche lei mi maledice.”
(Milan Kundera, La lentezza, Milano 1995)

Oggi sempre più spesso l’arte è portatrice di diversità in quanto luogo della lentezza. Un territorio “marginale” dove lo sguardo si acuisce sull’insignificante e sull’infinitamente piccolo; l’emotività di un gesto si alimenta di sfioramenti esplorati con delicatezza quasi maniacale; il tempo, proiettato in una dimensione improduttiva, si dilata ad accogliere un fare che talvolta riscopre manualità minuziose, quasi esasperate.
L’opera si fa ambito privilegiato di una fisicità “sottile” e del tempo “lungo” del lavoro in opposizione alla velocità dei media e al regime della pura virtualità che contraddistingue il contemporaneo.

Eppure mai come oggi, fuori dello studio dell’artista, il destino dell’opera è direttamente proporzionale all’estensività ed alla velocità della sua circolazione.
Mediatizzata, la messa in mostra che per definizione è il luogo in cui l’opera si offre all’esecuzione da parte del suo pubblico, in una dimensione necessariamente contemplativa, si moltiplica nel consumo veloce dei messaggi visivi su cui si basa la nostra esperienza percettiva.
L’evento sostituisce la messa in mostra, mentre l’immagine sostituisce l’opera.
Il fare che essa reca con sé si stempera nell’apparire e in questa forma l’opera partecipa appieno alla vertigine dell’accelerazione che contraddistingue la contemporaneità.

“La parte più erotica di un corpo non è forse dove l’abito si dischiude? (…) è l’intermittenza, che è erotica (…) è proprio questo scintillio a sedurre, o anche: la messinscena di un’apparizione-sparizione.”
( Roland Barthes, Il piacere del testo, Paris 1973)

Stretta tra l’essere, che attiene alla sua ontologia, e l’apparire, che riguarda il suo essere nel mondo; tra una valenza fenomenica che si sposta nella dimensione del virtuale e una valenza ontologica che afferma il proprio bisogno di realtà; tra la lentezza che la origina e l’accelerazione che la fa vivere, l’opera può trovare una speranza di compimento.
Lo “scintillio della seduzione” sta in una faglia dove s’incontrino un bordo consolatorio, plagiario, che ricalchi i contorni inconsistenti dell’immagine e un bordo sovversivo che raccolga il soffio di umanità.
In bilico su questa faglia l’opera consuma il proprio stato di precarietà ricercando un essere dentro le forme dell’apparire. Ma proprio cavalcando questa precarietà essa può ritrovare un senso e attribuire senso al proprio discorso sul mondo dandosi come metafora di una condizione contemporanea che riguardando l’opera riguarda più in generale l’uomo.

Se l'opera d'arte cade nella rete, di Alessandro Castiglioni

DIPINTO DEL TEMPO

Fai un dipinto in cui il colore
Si veda solo sotto una certa luce
In un certo momento della giornata.
Fa che sia un momento molto breve.
(Yoko Ono, estate 1961)

Caduta nella rete l’opera d’arte viene colpita da una profonda crisi d’identità. Mi spiego, se per Benjamin, l’opera, intesa come manufatto unico ed irripetibile, rischiasse tragicamente di perdere la propria aura, cadendo nella rete, l’oggetto artistico oggi ha l’occasione di definire nuovamente se stesso, riflettere attorno alla propria natura insieme fisica e concettuale.
Come se le sfide lanciate all’arte, tra i tanti, da Baudrillard, Celant, Lyotard, trovassero la possibilità per una riformulazione ancora più definitiva.

Il progetto Roaming mette in luce proprio questa criticità, proponendo una ricerca ricca d’una forte componente concettuale, che focalizza la propria attenzione sull’opera colta nel passaggio da materiale a immateriale, attraverso un gioco di specchi: un giorno di esposizione reale, e poi la continua esposizione in una galleria in uno spazio virtuale su Second Life.
L’operazione innesca inevitabilmente una serie di domande sullo statuto e sull’estetica dell’opera d’arte nella dimensione digitale. Un’ estetica particolare, di delicata natura, sia in relazione all’utilizzo di supporti tecnici che prevedono una commistione tra esperienza artistica ed utilizzo di strumenti tecnologici; sia per quanto riguarda le modalità di fruizione che prevedono la possibilità, da parte dello spettatore, di entrare in contatto e di interagire direttamente con l’opera dell’artista. Inoltre vanno considerate la profonde trasformazioni, dilatazioni e compressioni, che gli elementi spazio-temporali subiscono nella nuova realtà, quella virtuale. Un’altro fondamentale nodo di riferimento riguarda la strutturazione di una propria identità linguistica: nel nostro caso credo sia utile interrogarsi attorno alla doppia natura delle opere, di volta in volta realizzate dagli artisti, sempre diversi, invitati a prendere parte al progetto. Già perché, le opere, prima sono esposte fisicamente, poi solo virtualmente.  Siamo così di fronte a due opere, oppure si tratta della  stessa opera dotata di due differenti nature, o in fin dei conti trattiamo della stessa opera, e quelle che cambiano sono solo le modalità di fruizione?
In realtà, non penso sia così interessante rispondere a queste domande, quanto più proficuo dedicare una riflessione a queste identità inattese che grazie ad un semplice spostamento (da reale a virtuale), le opere assumono.
Più che un teorico, quanto manicheo, dilemma sul lavoro presentato dagli artisti per Roaming, mi sembra cioè interessante analizzare gli effetti che questa sorta di  dualità comporta. Se nella serata-evento di inaugurazione le dinamiche  della mostra presentano tutte le caratteristiche reali e  tradizionali del caso, come per esempio l’intangibilità dei diversi oggetti esposti, dal giorno successivo proprio queste opere si dematerializzano, si diffondono, possono essere copiate, tagliate, ricolorate, per fare la copertina di un cd di mp3 scaricati illegalmente da eMule, o  diventare lo sfondo per la mia pagina myspace. Qui non è nemmeno più questione di aura, l’opera da oggetto diventa processo, e si proietta nel futuro, come spiega chiaramente in un suo recente intervento Antonio Caronia. (A.Caronia “Digital time slip”, WOK, Edizioni Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, Marzo 2008)

Sarebbe riduttivo quindi proporre un’analisi legata alla doppia natura, materiale – immateriale, degli interventi, ed esaurire qui il discorso, perché perderebbe valore, l’elemento centrale di questo progetto, la sua valenza processuale, atta a svelare e dispiegare un meccanismo, quello grazie al quale, nella “nostra modernità postmoderna”  le opere non sono più oggetti da guardare, ma relazioni da intessere, processi di metamorfosi ed ibridazione da scoprire.

Biografia

Alessandro Castiglioni si occupa di arte relazionale e di nuove tecnologie per l’arte. Dal 2004 collabora con il Dipartimento Educativo della GAM  di Gallarate occupandosi, tra l’altro, delle attività didattiche per le mostre “Visibile-Invisibile. Bianco-Valente. Opere video e ambienti. 1995-2008”, “Le Trame di Penelope”, “Marcel.lí Antúnez Roca: interattività furiosa. Pre-interattività e sistematurgia.”
Ha contribuito criticamente a diversi progetti artistici tra cui Ap Art e Microcollection, di cui, con l’artista Elisa Bollazzi, cura le attività; ha da poco aderito alle Meditation/Mediation dell’artista Newyorchese Daniel Rothbart. Di recente, ha pubblicato: Se resterà qualcosa, oltre al segreto, Edizioni il Filo, Roma, 2008; Ritmi, Spazi, Silenzi, l’opera di F.Pagani, Mariani Editore, Busto Arsizio, 2007; Unaspected developments in relational art. New York Arts Magazine, NYC, 2007.

  • Enrica Borghi, Blu, 2002. Foto Agostino Osio
    Enrica Borghi, Blu, 2002. Foto Agostino Osio
  • Giancarlo Norese, 79 persone che conosco, 1995. Foto Agostino Osio
    Giancarlo Norese, 79 persone che conosco, 1995. Foto Agostino Osio
  • Luca Scarabelli, Fare il ponte, 2008. Foto Agostino Osio
    Luca Scarabelli, Fare il ponte, 2008. Foto Agostino Osio