Fare Casa
La dimora di Roberta Colombo è un matri-ambiente; un campo di possibilità, un nucleo di energia, un habitat performativo e affettivo, sede – in perenne trasformazione – di un felice convivere e confrontarsi.
È un’entità fisica, psichica e politica; un dentro e un fuori, perché, parafrasando Khalil Gibran, se “la casa è il nostro corpo più grande”, il corpo è la nostra prima e intima dimora. È un mondo in cui arte e design, dimensione privata e relazionale, domestica e pubblica, esistenziale e politica si fondono nel nome di un bisogno di espressione che rifiuta qualsiasi limite.
Questa casa è un punto di partenza e di arrivo; da qui Roberta Colombo si proietta altrove per esplorare e per vivere le esperienze che la nutrono, per trovare i materiali destinati a essere lavorati attraverso un processo che li trasformerà in opere.
Il suo lavoro tende a svolgersi in stretta relazione con l’ambiente domestico, ma non si lascia arginare; in passato in molti casi ha finito per espandersi all’esterno con interventi che evadevano dagli spazi deputati per innestarsi sul tessuto urbano.
La dimora di Roberta non ha niente a che fare con l’ambiente statico, ovattato, prevedibile della casa tradizionalmente intesa. Ponendosi agli antipodi rispetto a qualsiasi separazione, essa si offre anzi come un organismo capace di contenere, metabolizzare, risignificare tutto ciò che lo attraversa; un organismo incontrollabile in perenne crescita e in evoluzione. Avvicinarvisi significa rinunciare a circoscrivere, chiedere misura, tracciare ambiti di azione e confini disciplinari.
Attratta dalle potenzialità di tutte le cose della vita, ogni oggetto nelle sue mani si può caricare di significato, ogni azione sembra riconvertirsi in un messaggio: la sua quotidianità e il suo lavoro, che sono tutt’uno, sono animati da un’inesauribile capacità di produrre senso e relazione.
L’elemento che accomuna questa ricerca è una riflessione che affonda le radici nella rivoluzione politica e culturale del femminismo. Spinta dall’intento di scardinare il paradigma patriarcale, Colombo guarda alla donna nella sua sfaccettata complessità, identificando pienamente il corpo femminile con sessualità e incarnazione.
Le opere possono nascere da uno stimolo autobiografico – è il caso di Diario che affronta le inquietudini di un momento di transizione – o da tematiche di ampie proporzioni, cariche di implicazioni: l’ineguaglianza tra generi, il binarismo imposto, fenomeni quali le taciute pressioni, i torti e le violenze che si celano nel contesto domestico, lavori che spesso si avvalgono della funzione demistificante dell’ironia. È il caso delle Sedute violate e dei Piatti di Famiglia le cui “decorazioni” consistono in un coltello, in una sberla; degli Scettri del Femminile, emblemi di potere issati su manici di scopa e destinati a essere impugnati da mani non maschili; delle Domestic Weapons, i sempiterni simboli della casalinghitudine, dal flacone di detersivo al mestolo, trasformati in gioiose e combattive armi grazie alle quali rivendicare un ruolo politicamente attivo.
Un vecchio cassettone recuperato in strada diventa emblematico di una libertà di sentire che alle donne in passato non è stata concessa: sul piano di ceramica è inciso un testo di Wislawa Szymborska che inizia così: “Ancora oggi regna la convinzione che le donne, a differenza degli uomini, siano per natura casalinghe. Effettivamente per la maggior parte è così, ma lo sono “per natura”?”. È Il Cassettone di Wislawa.
Se con tutto il suo pensiero e il suo lavoro Roberta mette in gioco il politico a partire da quanto di più singolare, eccezionale e unico esista, ovvero sé stessa, nella grande scultura GODDESSINTHEDOORWAY la dimensione alla quale fa riferimento è quella del rituale, ma anche della cura. In questo caso impersona infatti la divinità in un’autorappresentazione totemica fatta, come lei stessa dichiara, “di impronte del mio corpo, di miei lavori, oggetti della casa, […].” Il risultato è una figura ibrida e frammentata, metamorfica, una guardiana e una protettrice, tanto specifica quanto fuori dal tempo, che tutto ingloba, compresa quella caratteristica che accomuna l’umano a ogni altro vivente: la vulnerabilità. La figura “è in equilibrio instabile come quello del Jenga, tanto che alcuni anni fa è caduta ed è stata ricostruita perché possa partecipare alla mostra.”
Spinta da una incontenibile urgenza espressiva e comunicativa Roberta genera idee e lavoro a un ritmo incessante. A ben vedere, anche questa è una forma di sovversione: una resistenza a qualsiasi riduzionismo, un modo di creare continuamente nuovi scenari sottraendosi a ogni controllo.
La vitale esuberanza di Dimora con le sue opere numerose, affermative, rivoltose, felici ma non leggere, che popolano lo spazio e lo eccedono straripando fuori, rappresenta proprio una consapevole asserzione: non si esclude, non si elude; entrare in rapporto con ciò che ci circonda è imprescindibile. Ogni oggetto è capace di parlare e su tutto ci si può interrogare. Qui si respira un senso di accoglienza e di interezza. Non è poco, abituati come siamo a vivere la regola, la prevedibilità. E nulla è certo, non esiste griglia, non esiste format; tutto viene sovvertito, a partire dall’idea stessa di mostra. Se per l’artista interrogarsi sull’abitare e fare casa è tutt’uno, ad Assab One trovano dimora, seppur temporaneamente, non solo opere, ma mobili di casa Colombo, libri, suppellettili e lei stessa. Un vero e proprio trasloco.
Lo spazio è destinato a essere condiviso con chi vorrà prendere parte a questo nuovo tipo di abitanza.